Come si lavora la pianta della vite?

La lavorazione della pianta della vite, da cui poi nascerà il vino che finisce sulla nostra tavola, vede la grande costanza e perseveranza del vignaiolo. Supponiamo quindi che la vite sia stata opportunamente innestata e piantata nel terreno più favorevole.

Lavorazione della vite

Occorre a questo punto lavorarla, non a caso, ma conferendole una forma suscettibi1e di facilitare il lavoro del vignaiolo e il trattamento della vite, di garantire la necessaria aerazione e di permettere all’uva di giungere infine a completa maturazione. Bisognerà allora aspettare almeno tre anni prima di poter fare vino col succo dei suoi grappoli; mentre certi proprietari di grandi vigneti considerano tale lasso di tempo ancora insufficiente.

Poi, a partire dalla terza primavera, quando la potatura è stata portata a termine e i polloni cominciano a gonfiarsi, la linfa cola goccia a goccia dalle piaghe della potatura. Comincia allora una nuova fase. Occorre radunare tutti i sarmenti e fissarli ai fili di ferro, scalzare ogni ceppo dal monticello di terra con cui lo si è circondato in autunno per proteggerlo dal freddo.  Per tutta la primavera e tutta l’estate il lavoro continua.

Invasioni di parassiti

Ma ecco che si annuncia un’invasione di ragni rossi, e allora bisogna trattare la vite con gli insetticidi appropriati.
Se il tempo è piovoso, la peronospera rischia di attaccarsi alle foglie, e allora bisogna distruggere il fungo con irrorazioni di zolfo, e si deve magari ricominciare tutto daccapo se le burrasche marzoline dilavano la benefica protezione. Un altro fungo, l’oidium, può attaccarsi ai sarmenti e ai viticci, e il viticoltore deve proteggere la sua vigna dai vermi.

I pericoli per la vigna

Quando la temperatura si addolcisce, la vite lancia sarmenti in tutte le direzioni. Se non ci si stesse attenti, trasformerebbe il vigneto in una foresta e sprecherebbe le proprie energie a spiegare un lussureggiante fogliame, anziché produrre bei grappoli. Occorre rimettere ordine in questo caos, legare i sarmenti, potare, potare ancora a colpi di cesoie. A mano a mano che l’estate avanza, il vignaiolo continua instancabilmente a strappare le erbacce, a dare zolfo, a sfrondare, ad allontanare una minaccia dopo l’altra, nel continuo timore di vedere apparire verso ovest le grevi nubi giallastre annunciatrici di grandine. Se le vede accumularsi, spara razzi nella vana speranza di disperderle.

Un uomo solo che accende petardi di fronte alle nuvole minacciose: la sproporzione delle forze che si affrontano potrebbe indurre al sorriso,
ma basta aver visto una volta una grandinata abbattersi su un vigneto: in pochi minuti, il disastro è compiuto.

La vite ferita dalla grandine richiede cure raddoppiate. Forse il raccolto è perduto, ma bisogna pensare a salvare il prossimo. Già l’indomani, il vignaiolo ricomincia a dare zolfo per rimarginare le ferite dei sopravvissuti. È necessario che i sarmenti giungano a maturazione affinché i ceppi, portatori delle speranze dell’anno a venire, abbiano sufficiente forza per sopravvivere ai freddi dell’inverno. Un disastro del genere, naturalmente, è un fatto eccezionale.

Se tutto va bene, la scorza dei nuovi sarmenti qua e là si tinge di rosa, poi d’azzurro e di nero. Il vignaiolo evita di andare nelle sue vigne, ben sapendo che ci vuole pochissimo per sciupare irrimediabilmente i giovani grappoli. La peronospera non può più nulla, ormai, e l’unico pericolo che ancora li minaccia è la muffa grigia, un minuscolo fungo che si sviluppa quando il tasso di umidità è troppo alto.

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Chi è l'autrice

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