Publio Ovidio Nasone, noto semplicemente come Ovidio, è stato un poeta romano vissuto tra il 43 a.C. e il 17 d.C. Tra le sue opere più celebri vi è certamente “Ars amatoria”, un poema in tre libri che tratta dell’arte dell’amore e che contiene numerosi riferimenti al vino.
Nella sua opera, Ovidio esalta il potere del vino di far dimenticare i dolori dell’anima e di rendere più intensi i piaceri della vita. Il vino diventa così simbolo di gioia e di felicità, e viene associato al mondo della festa, della convivialità e dell’amore.
Ovidio, inoltre, dedica numerosi versi alla descrizione dei banchetti e delle libagioni, che costituivano un’importante occasione di socializzazione nell’antica Roma. In queste occasioni, il vino veniva consumato in grandi quantità e accompagnato da cibi prelibati, come carni arrostite, frutti di mare e formaggi.
In sintesi, il vino occupa un ruolo centrale nell’opera di Ovidio, che lo considera un elemento indispensabile per la felicità dell’uomo e per la celebrazione dei momenti più importanti della vita.
Il vino prepara i cuori e li rende più pronti alla passione.
Appresta il vino i cuori e alla passione li fa più pronti: sfumano i pensieri; nel molto vino ogni penar si stempra.
Fra’ vini è più sostanzioso quello raccolto in un suolo benigno che in un terreno leggero; più quello di un clima temperato, che quello raccolto in un luogo umido, o troppo secco, troppo freddo, o troppo caldo.
Il vino era un tema comune nelle opere di Ovidio. Nel suo poema “L’Arte d’Amare”, Ovidio descrive il vino come un aiuto per alleviare i dolori dell’amore e per liberare la mente dalle preoccupazioni. Egli scrive:
“Vino che l’animo ristori e al dolore largo conforto apporti, offri l’allegria che sbandisce il dolore e ci riporta la pace dell’anima.”
Inoltre, Ovidio fa riferimento al vino in molte altre opere, tra cui “Metamorfosi”, “Fasti” e “Remedia Amoris”. Nel complesso, il vino sembra essere stato per Ovidio un simbolo della vita e della felicità, ma anche della follia e della distruzione.